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Supporto Centro Sanitario
Distretto di Gulu (Uganda)
Il progetto, grazie ad un finnziamento della Fondazione Prima Spes, intende rispondere a due importanti problematiche derivanti dall’estremo degrado della zona ed il conseguente decadimento dei servizi di base governativi: l’accesso alle cure sanitarie di base, compreso il trattamento dell’HIV/AIDS e il reinserimento sociale ed economico di donne rapite e/o vittime di abusi durante il lungo periodo di forte instabilità dato dalla presenza di gruppi armati nella zona (LRA). La popolazione presente nel Nord Uganda è confrontata con innumerevoli problematiche di salute, HIV/AIDS, malaria e tubercolosi, infezioni delle vie respiratorie e gastro-intestinali. Queste condizioni sono aggravate dall’aumento dell’epatite b, ipertensione e difficoltà epatiche che negli ultimi anni stanno aumentando drasticamente il livello di mortalità tanto che, dall’ultima analisi, nel nord Uganda l’aspettativa di vita è di soli 50 anni dalla nascita, di gran lunga inferiore a quella media del paese. Se la domanda per cure sanitarie di qualità è molto alta, l’accesso ad un trattamento efficace e sicuro è fortemente limitato. La presenza del conflitto dell’LRA (Lord Resistance Army) che ha per molti anni reso insicuro ogni movimento, compreso quello verso i centri sanitari; I servizi governativi di base, compresa la sanità, negli ultimi decenni sono andati via via verso il degrado, scarsi investimenti pubblici in questa parte del paese, per ovvi motivi di insicurezza, hanno contribuito alla chiusura di alcuni centri sanitari rurali e la fuga di personale medico e paramedico verso le città. Il conflito tra LRA e le forze governative, durato più di vent’anni, oltre ad avere causato migliaia di morti ha seminato
violenze di ogni genere. Migliaia di persone hanno dovuto fuggire dalle loro case, abbandonando i propri campi o le loro piccole imprese economiche, costretti a cercare riparo e protezione nei campi per sfollati, dipendendo interamente dall'aiuto umanitario esterno. Durante quegli anni molti bambini, ma soprattutto donne e ragazze anche molto giovani, sono state rapite, usate come schiave, violentate ripetutamente dai miliziani, trasformate in schiave sessuali, addestrate ed utilizzate per combattere, costrette quindi anche ad uccidere. Quelle che sono riuscite a sopravvivere, e a far ritorno a casa, hanno dovuto fare i conti con il rifiuto da parte delle famiglie d’origine. L’essere state con i miliziani per diversi anni, aver combattuto ed ucciso, avere con se uno o più figli dei miliziani, essere sieropositive le ha trasformate da vittime a oggetto di ripudio anche presso le loro comunità. Molte di esse hanno iniziato a girovagare in cerca di alloggi di fortuna, in distretti dove potevano mantenere l’anonimato e quindi non essere cacciate. Le poche strutture rimaste servono una popolazione su un raggio di svariate decine di km. Questi centri, applicando la politica sanitaria nazionale, applicano un ticket ed i farmaci sono a pagamento. La popolazione di quest’area, è la più povera dell’intero paese, basti pensare che ben il 63% di essa vive al disotto della soglia di povertà, contro la media nazionale che è del 38%. Pochissimi possono quindi permettersi di pagare un trasporto per spostamenti verso i pochi centri di salute, e poi pagarsi le cure e l’acquisto dei medicinali. Al trauma iniziale del rapimento, delle violenze fisiche e
psicologiche subite, si è aggiunge il rifiuto al momento del ritorno a casa, con conseguenze traumatiche devastanti dal punto di vista psicologico. Nel distretto di Gulu, alcune di queste donne, alcune disabili, altre sieropositive, sono state accolte e monitorate dal centro sanitario Comboni ed hanno deciso di installarsi nelle periferie della città in modo da continuare le cure. Vivono in piccole case di fango e paglia che necessitano di continue manutenzioni e non hanno fonti di sostentamento altre delle offerte provenienti dal centro. Sono donne sole, o figlie di donne rapite e cresciute nella foresta negli accampamenti militari, oggi ormai donne. Non avendo un lavoro, e quindi un ruolo all’interno della società, sono destinate all’emarginazione e ad una vita fatta di stenti. Il progetto, che si compone di due settori di intevento, quello sanitario e quello socio economico, si indirizzerà ai seguenti beneficiari:
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7.000 pazienti del centro sanitario, che riceveranno cure mediche di primo livello e saranno evacuati presso strutture specialistiche in caso di necessità. Sulla base dei dati di affluenza al centro nel 2016 si pensa che almeno 2100 di questi (il 30% ) siano minori, ed il restante 70%, 4.900 persone, saranno adulti (1500 m e 3400 f).
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18 ragazze/donne figlie di sopravissute al rapimento da parte di milizie dell’LRA, che frequenteranno corsi di formazione professionale e riceveranno un kit di start up per l’avvio di attività generatrici di reddito.
Progetto sostenuto dalla Fondazione
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